L’Ulivo -“postcard story” per parole e immagini (Angelo Andriuolo e Pasquale Nero Galante)
L’ulivo era lì da millenni. Radicato con forza nel terreno aspro di Puglia. Immoto, vedeva il mondo muoversi attorno a lui. Aveva guardato con curiosità, all’inizio, il susseguirsi delle stagioni. Meravigliandosi ogni volta che al caldo sole dell’Estate potesse seguire il gelo dell’Inverno.
Era passato tanto tempo da quando era giovane che neppure ricordava quando aveva iniziato a vedere il mare. Ora gli sembrava che ci fosse sempre stato. Ma sapeva, dentro di sé, che non era così. Che vi era stato un tempo in cui, da tutti i lati, c’era solo Terra.
Poi, crescendo, improvvisa comparve una striscia sottile di un colore blu intenso. Con lo scorrere dei secoli la striscia si era allargata. Sempre più. Ora era Mare.
Da quella parte veniva il vento di Levante, che accarezzava dolcemente le sue foglie nelle miti giornate di tarda primavera, facendole stormire in un sussurro di piacere che lo attraversava per intero. Se un Ulivo avesse potuto conoscere l’Amore quello era certamente Amore, si disse.
La Notte gli piaceva, in fondo. Quelle lucettine accese e danzanti che vedeva sopra di se gli davano serenità. E quando c’era la luna piena si divertiva a guardare gli occhioni grandi degli Assioli e degli Allocchi che si posavano sui suoi rami robusti.
Ma gli piaceva di più il giorno. Nella Luce si sentiva sicuro… possente… immortale. Si compiaceva della sua imponente ombra proiettata sul terreno. Nella Luce, ogni anno, venivano i suoi adoratori che, delicatamente, lo sgravavano del fardello delle olive, piccole figlie di cui, poi, si sarebbero occupati loro. Era un onore che i suoi fedeli gli tributavano: loro avevano vite cadùche, brevi esistenze. Poveri!
In quell’anno, forse era il duemilaseicentesimo della sua Esistenza ( o il duemilasettecentesimo? Chissà), gli adoratori vennero in un periodo diverso. Era caso bizzarro, si disse. Le Olive non erano ancora mature, c’era ancora vento di Scirocco. Se avesse potuto avrebbe gridato loro: non è tempo!
Li guardò meglio: sembravano strani. Non erano allegri e vocianti come sempre. Non erano venuti con teloni e rastrelli. Li precedeva un bislacco animale dalla lunga proboscide dentata. Di un colore giallo improbabile. Mai visto prima. Sembrava rotolare sul terreno e, nel farlo, produceva un rumore infernale.
Un cavaliere dal vestito grigio e dall’elmetto rosso guidava l’animale. Con gesti rapidi lo fece avvicinare. La proboscide si poggiò sul tronco.
L’Ulivo ne avverti il peso. Poi, improvviso, un lampo di dolore lancinante lo scosse; fino all’ultima sua foglia. Per la prima volta nella sua vita l’Albero si mosse… e più si muoveva e più sentiva dolore. La macchina di ferro (Dio degli Ulivi, non era un animale!) continuò a spingere, a scuotere, a scrollare fino a che le radici non uscirono fuori dal terreno e Lui …crollò a terra con un boato. Nube di polvere e uno schianto immane. Tremila anni distrutti in pochi minuti di follia.
Ora in basso, disteso, a nudo, indifeso… giaceva. Ripiegò le sua chioma, raggrinzì i suoi legni. Si preparò a morire.
Se avesse avuto gli occhi li avrebbe chiusi. Ma, fortunatamente, non li aveva. Resto lì ancora per un po’ a sentire quell’aria, a godersi per qualche lungo minuto, prima della fine di tutto, quell’atmosfera magica che sapeva di Terra… di Mare…di Luce…
(angelo andriuolo)